Tutti conosciamo la Sirenetta, ma pochi sanno che il film di Disney non rispetta il finale della fiaba originale di Hans Christian Andersen.
Gran parte della trama è uguale: Ariel rinuncia alla voce in cambio delle gambe perché, innamorata del bel principe Eric, vuole vivere con lui. Eric però si innamora di un’altra ragazza e, nella storia originale, la sposa… quindi Ariel, disperata, si tuffa in mare e si dissolve diventando schiuma sulle onde. Nel finale viene trasformata in una figlia dell’aria, un essere invisibile, con la promessa di ottenere un’anima e volare in Paradiso dopo 300 anni di buone azioni.
Ecco, Ariel rinuncia alla sua voce, ossia all’espressione del suo vero sé, per farsi accettare dal mondo umano. Nega se stessa per conformarsi alle aspettative degli altri pensando di trovare in questo la felicità, ma alla fine si dissolve, negata per sempre. E anche la condanna a vivere una vita da invisibile in attesa di un paradiso promesso non sembra una grande prospettiva.
La storia originale, con un finale impensabile per un film di Disney, porta con sé una riflessione: quante volte si rinuncia a se stessi per essere accettati, si nega la propria essenza per compiacere, ci si nega la possibilità di essere autentici?
Se penso alla Sirenetta, mi dico che non ne vale la pena…